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Il dolore cronico è una condizione che affligge il 20% della popolazione mondiale. È tipicamente definito come un dolore che permane a lungo (durata superiore ai 3 mesi) pur essendo cessato lo stimolo doloroso. L’esercizio è comunemente considerato una buona strategia di gestione in quanto migliora le funzioni fisiche generali e il tono dell’umore, diminuendo i rischi di problemi di salute secondari. La risposta all’esercizio è però molto variabile nei soggetti affetti da situazioni di dolore cronico, specialmente in un percorso iniziale, a causa della possibile esacerbazione del dolore a breve termine. Nei soggetti asintomatici la risposta è molto più lineare: anche una singola sezione di allenamento dà un periodo di ipoalgesia che può durare anche fino a 30 minuti post-esercizio.
Negli studi basati su ricerche di laboratorio, l’EIH è solitamente quantificato applicando uno stimolo doloroso prima e dopo una definita dose di esercizio e misurando i cambiamenti quali una aumentata soglia del dolore o una diminuzione dell’intensità del dolore rispetto ad uno stimolo dolorifico standardizzato. Usando questi metodi, nella popolazione asintomatica, l’EIH si è dimostrato significativo (sia con l’esercizio aerobico che con quello di resistenza) nel diminuire la risposta dolorosa in relazione a stimoli pressori, termici e meccanici. L’esercizio aerobico elicita maggiormente l’EIH ad intensità più alte (approssimativamente 200W o il 70% del consumo massimale di ossigeno). Esercizi di resistenza sia dinamici che isometrici stimolano l’EIH: con un carico isometrico fra il 10 e il 30% del massimale viene provocato un EIH fino ai 5 minuti. L’esercizio aerobico tendenzialmente porta ad un EIH diffuso su tutto il corpo, mentre l’esercizio di resistenza presenta maggiore variabilità: può ridurre una sensibilità al dolore in prossimità del muscolo contratto (local EIH) ma in alcuni casi anche in zone remote rispetto al muscolo contratto (global EIH).
Nelle popolazioni con dolore cronico la variabilità di risposta rispetto all’esercizio aumenta: alcuni studi dimostrano nessun cambiamento o addirittura un aumento della sensibilità al dolore, motivo per cui l’aderenza all’esercizio come piano terapeutico rischia di essere compromessa portando ad una inattività che porta a sua volta ad un peggioramento a lungo termine, in termine di dolore e disabilità. Quindi per ottimizzare i benefici terapeutici dell’esercizio è bene comprendere come funziona l’EIH, il perché può essere indebolito in alcune persone con dolore cronico e come dovrebbe essere indirizzato nella pratica clinica. L’obiettivo di questo articolo è di capire l’EIH in risposta all’esercizio in acuto; inizieremo supervisionando gli studi che hanno usato un protocollo di esercizi standardizzati e che hanno comparato la conseguente risposta dell’EIH, sia in pazienti asintomatici che con dolore cronico. In seguito, esploreremo i possibili meccanismi biologici regolanti l’EIH e la potenziale influenza del genere (maschile/femminile) e dei fattori psicosociali.
Panoramica sull’EIH in pazienti con dolore cronico
Per svolgere una supervisione degli studi che esplorano l’EIH in condizioni di dolore cronico, è stata sviluppata una lista di parole chiave all’interno di vari database. Comparati con adulti asintomatici, molti studi hanno dimostrato una ridotta EIH o in alcuni casi un’iperalgesia esercizio-indotta in risposta sia all’esercizio aerobico che a quello di resistenza nei pazienti con dolore cronico, inclusi quelli con fibromialgia, con Sindrome da fatica cronica e con Sindrome da Guerra del Golfo. Quelli con dolore generalizzato, spesso, dimostrano una disfunzione dell’EIH sia locale che globale in risposta all’esercizio di resistenza. Diversamente, pazienti con dolore localizzato unicamente ad una spalla mostravano un indebolito EIH durante la contrazione dei muscoli dolenti, ma un normale EIH contraendo muscoli remoti, non dolenti. Analogamente, pazienti con osteoartrosi di ginocchio hanno avuto un inalterato EIH a seguito degli esercizi di resistenza coinvolgenti gli arti superiori, mentre un diminuito EIH con l’uso degli arti inferiori.
Questi risultati suggeriscono che, anche in presenza di un indebolito EIH, i pazienti con dolori localizzati possono ottenere effetti benefici esercitando segmenti remoti rispetto a quelli dolenti. È importante enfatizzare che non tutte le popolazioni con dolore cronico hanno un EIH indebolito e che le differenti misurazioni usate per quantificare l’EIH (es. intensità del dolore generalizzato contro soglia del dolore pressorio) può influenzare sia i meccanismi sottostanti che la risposta all’esercizio stesso. Sebbene siano pochi, alcuni studi hanno mostrato un diminuito EIH in pazienti con neuropatia diabetica associata a dolore cronico al ginocchio, mentre una risposta normale dell’EIH in quelli con artrite reumatoide e low back pain. Inoltre, in contrasto con quest’ultimi, studi hanno osservato un intatto EIH locale e globale in individui con osteoartrosi di anca e di ginocchio di alto grado. Un EIH diminuito si nota anche dopo movimenti ripetuti di spalla in persone con WAD (disordini associati ad un colpo di frusta), mentre una risposta normale viene provocata dalla contrazione muscolare degli arti inferiori. In contrasto, sottolineando ulteriormente la variabilità in persone con dolore cronico, l’esercizio aerobico portava una diminuzione dell’EIH in pazienti con WAD, suggerendo una possibile differenza di risposta dell’EIH a seconda del tipo di esercizio relativamente alle condizioni di dolore. Ad un ulteriore suddivisione dei pazienti con dolore cronico in 2 sottogruppi (alta e bassa sensazione di dolore), il gruppo ad alta sensazione dolorosa mostrava un diminuito EIH rispetto all’altro. Sebbene preliminari, questi risultati suggeriscono che avviene una diminuzione dell’EIH maggiormente in individui con processi nocicettivi aumentati.
Meccanismi biologici che possono contribuire all’EIH
Attualmente i meccanismi responsabili dell’EIH non sono interamente compresi, sia nei pazienti con dolore cronico che negli asintomatici. L’ipotesi di un coinvolgimento del sistema oppioide endogeno durante l’esercizio è la più accreditata, in quanto un recettore antagonista oppioide è coinvolto prima, durante e dopo una sessione di esercizio, sia negli adulti che negli animali (dove i risultati a sostegno sono ancora più concreti).
Anche il sistema endocannabinoide potrebbe essere coinvolto; la presenza di recettori cannabinoidi nelle aree del cervello che processano la nocicezione supportano questa ipotesi e l’esercizio aumenta i livelli circolatori di endocannabinoidi.
Il sistema oppioide e cannabinoide sono inoltre legati fra loro, con l’attivazione dell’uno che media l’attivazione dell’altro e viceversa. Pochi studi però indagano in particolare popolazioni con dolore cronico, quindi il suggerimento è quello di indirizzare le ricerche verso questo approfondimento.
Mentre il sistema serotoninergico influenza L’EIH presentando una migliore risposta dello stesso in pazienti con livello di serotonina maggiore.
Gli effetti del sesso sull’EIH
Ci sono sostanziali differenze nel dolore cronico, con una prevalenza maggiore nel sesso femminile, che sviluppa anche valori di intensità più elevati; prevalenza maggiore in condizioni di dolore diffuso quali fibromialgia, WAD in cui vi è un EIH diminuito.
Sebbene questo suggerisca una minore efficienza dell’EIH nel sesso femminile, una revisione sistematica analizzante 172 articoli pubblicati fra il 1998 e il 2008 è giunta alla conclusione che le differenze di genere nella risposta dolorosa sono dipendenti dal tipo di stimolo. Sebbene mostrino soglie comparabili per il dolore da freddo e il dolore da ischemia, le soglie del dolore sembrano essere minori nelle donne per gli stimoli pressori. Inoltre, i tempi di tolleranza per gli stimoli termici e pressori sembrano essere inferiori a quelli maschili, mentre analoghi per quelli ischemici.
Sorprendentemente però, le donne mostrano un incremento maggiore dell’EIH dopo esser state sottoposte all’esercizio, sia aerobico che isometrico. Queste discrepanze rendono attualmente non chiaro se esista una correlazione fra sesso ed EIH.
Influenze psicosociali sull’EIH
Le ricerche indicano che i fattori psicosociali contribuiscono all’esperienza dolorosa, mentre meno conosciuto è come contribuiscono all’EIH.
Nei pazienti asintomatici la catastrofizzazione, la paura del dolore e i disturbi dell’umore sembrerebbero attenuare l’EIH, mentre i fattori famiglia-correlati come un ambiente familiare con un passato di dolori cronici sembrano diminuire l’EIH; ambienti familiari positivi producono un EIH maggiore. Pochi studi invece hanno indagato la relazione fra fattori psicosociali e EIH in adulti con dolore cronico.
Questi comunque non mostrano evidenza che ansia, depressione, kinesiofobia e catastrofizzazione portano ad una differente soglia del dolore dopo l’esercizio, e quindi ad una modificazione dell’EIH. L’esercizio non è e non dovrebbe essere considerato come uno stress fisiologico e psicologico e quindi probabilmente è da cambiare il modo in cui deve essere percepito l’esercizio. Persone che percepiscono l’esercizio come potenzialmente dannoso o incontrollabile potrebbero rispondere negativamente ad esso. Studi su animali hanno infatti dimostrato come il sottoporsi volontariamente all’esercizio (ad esempio il correre all’interno della ruota) riduceva stress ed infiammazione, mentre la stessa attività svolta in una situazione forzata provocava l’effetto diametralmente opposto. In pazienti sani asintomatici un minimo decremento del 10% dell’intensità che i partecipanti avevano scelto per loro stessi, andava a fare decrescere la sensazione di piacevolezza data dall’esercizio non portando ad alcun guadagno nella performance, ed in generale un aumento del controllo diminuiva lo stress ed aumentava il livello di attività. Poche di queste evidenze sono state trasferite nel contesto dell’EIH. In ogni caso, negli adulti asintomatici qualora uno stimolo fisico fosse percepito come minaccioso, la tolleranza al dolore diminuisce. Inoltre, l’educazione specifica sui benefici degli effetti ipoalgesici (quindi sicuri) dati dall’esercizio, sembrano far incrementare l’EIH.
L’evidenza è però meno chiara nei soggetti con dolore cronico. Pazienti con sindrome da fatica cronica, sottoposti sia ad un esercizio sotto-massimale che ad uno “al proprio ritmo”, in ogni caso presentavano poi un aumento del dolore e della sensazione di fatica. Questo sembra contraddire le evidenze sopracitate, poiché la seconda sezione di esercizio era specificatamente creata per far diminuire il senso di pericolo e far aumentare quello di sicurezza. Una possibile spiegazione è che i pazienti affetti da sindrome da fatica cronica sono quelli maggiormente spaventati dall’attività fisica, considerandola come dannosa. Ulteriori ricerche, indaganti altri fattori psicologici e le differenti condizioni di dolore cronico, sono raccomandate in futuro.
Come dovremmo comportarci nella pratica clinica?
La grande maggioranza della letteratura che tratta la prescrizione dell’esercizio in riabilitazione si focalizza sul settare i parametri dell’esercizio al livello di fitness. In questo contesto, l’esercizio è programmato per invertire il decondizionamento e può essere basato su fattori relativi alla forza, funzione cardiovascolare, biomeccanica e/o flessibilità. Comunque, basare la prescrizione dell’esercizio solamente sul livello di fitness del soggetto è verosimilmente problematico per persone con un diminuito EIH. Per queste infatti l’esacerbazione del dolore è un ostacolo all’aderenza al trattamento e di conseguenza un ostacolo a raggiungere un beneficio. Sfortunatamente, ci sono molte poche evidenze che ci dicono come personalizzare i parametri dell’esercizio in questi pazienti. Nonostante il ruolo dei fattori psicosociali rimanga non chiaro, il suggerimento è quello di decrementare il senso di pericolo che viene attribuito al dolore per fare diventare il movimento un effettivo modo per aiutare questi pazienti. Lavori recenti hanno messo in luce i potenziali vantaggi dell’educazione riguardo le neuroscienze e dei relativi interventi cognitivi (es. Graded exposure) all’interno dell’attività fisica per riapprocciarsi correttamente alla errata valenza di pericolo che i pazienti associano al dolore in relazione al movimento.
Inizialmente, i clinici potrebbero spiegare l’EIH attraverso l’educazione alle neuroscienze del dolore prima di aver stabilito un programma di esercizio terapeutico. Per esempio, spiegare come l’esercizio attivi l’inibizione della nocicezione discendente, attraverso un dialogo di tipo socratico; ed inoltre sottolineare come possa esserci, nei pazienti con dolore cronico, una risposta iperalgesica nelle fasi iniziali di un programma di esercizio terapeutico. Ulteriormente, sempre con un dialogo di tipo socratico, discutere riguardo il senso di pericolo avvertito dopo un picco di dolore a seguito dell’esercizio (es. secondo te questo aumento di dolore significa un maggior danno ai muscoli o alle articolazioni?).
Quando integrati in un programma di educazione comprensibile, le persone con un diminuito EIH tendono ad avere benefici quali: una diminuzione della catastrofizzazione riguardo ai potenziali incrementi dolorosi post-esercizio, aumento dell’accettazione di quest’ultimi ed una aumentata consapevolezza che queste reazioni negative si dissipino con l’andare del tempo.
Prospettiva di ricerca futura
Rimane tuttora abbastanza inesplorata l’eventuale efficacia del combinare gli esercizi con altri tipi di intervento. Ad esempio, l’educazione alle neuroscienze del dolore enfatizza gli effetti ipoalgesici dell’esercizio nei pazienti asintomatici, ma questo non è stato sufficientemente esaminato nei pazienti con dolore cronico con diminuito EIH. Analogamente, l’uso di analgesici agenti a livello centrale combinati con l’esercizio sembrano essere raccomandati soprattutto in una fase iniziale di un percorso terapeutico, ma ancora mancano studi che esplorino questa combinazione. I pochi lavori emersi suggeriscono che l’intervento degli analgesici possa portare benefici unicamente nella diminuzione del dolore durante l’attività.
Ad oggi, la maggior parte degli studi sull’EIH si sono focalizzati nel comparare le differenze fra individui con dolore cronico e quelli asintomatici. Questo tipo di ricerca è essenziale per meglio comprendere e caratterizzare le differenze cliniche fra i gruppi in relazione all’EIH, ed è quella la direzione in cui bisognerà andare. Per esempio, rimane non chiaro se le prognosi dei pazienti con condizioni simili (es. non specific Low Back Pain) differiscono in base ai livelli individuali di EIH. Lo sviluppo di questa linea di ricerca nei due sottogruppi è essenziale per tracciare dei profili clinici prognostici in relazione all’EIH e di conseguenza sviluppare interventi personalizzati in base a questi.
Stabilire l’affidabilità delle misure di risposta dell’EIH è un’altra cosa fondamentale per capirne le future implicazioni cliniche. Al momento, solo uno studio ha valutato l’affidabilità test-retest della risposta dell’EIH, misurato usando il cambiamento della soglia dolorifica alla pressione in seguito ad esercizio aerobico in soggetti sani. Sebbene le misurazioni isolate di questa soglia mostrassero eccellente affidabilità, le sessioni di misurazioni fra loro presentavano una affidabilità non significativa. È necessario approfondire, nelle future ricerche, l’affidabilità test-retest, includendo inoltre gruppi con dolore cronico e proponendo varie forme di esercizio (es. esercizi dinamici e/o isometrici). Inoltre, piuttosto che valutare l’EIH come fenomeno isolato, dovrebbe essere combinato con altre misurazioni che testano le funzioni nocicettive e propriocettive. Questo studio è importante sia per migliorare i meccanismi di comprensione dell’EIH sia per sviluppare un approccio individualizzato che possa predire quali pazienti rispondano maggiormente all’EIH.
Alcuni studi hanno esplorato gli effetti che il variare della dose dell’esercizio porta all’EIH, nei soggetti con dolore cronico. Hanno direttamente comparato la risposta dell’EIH dopo una prescritta intensità di lavoro aerobico (es. 75% del battito cardiaco massimo) con una condizione in cui l’intensità veniva selezionata dal paziente. Nonostante quest’ultima condizione porti ad una significativa diminuzione dell’intensità dell’esercizio e dello sforzo percepito, questi studi non sono riusciti a trovare differenze di EIH rispetto alla situazione in cui l’intensità era stata prescritta. Inoltre, alcuni studi che esplorano l’EIH in pazienti con dolore cronico, hanno usato esercizi che non riflettono accuratamente la pratica clinica. Per esempio, molti hanno usato un protocollo di esercizio aerobico di durata inferiore ai 15 minuti ed altri hanno usato esercizi isometrici (piuttosto che dinamici) con un carico fra il 10 e il 30% della massima contrazione volontaria, con una singola contrazione mantenuta per svariati minuti. Questi protocolli di esercizi non si avvicinano alle linee guida, rendendo la rilevanza clinica dei risultati di difficile interpretazione. Si necessita di maggiori studi che indaghino gli effetti della variazione della dose dell’esercizio sull’EIH nei pazienti con dolore cronico, e che i protocolli studiati si avvicinino il più possibile agli esercizi proposti nella pratica clinica.
Infine, la letteratura si è focalizzata sul quantificare l’EIH valutando la variazione della soglia di dolore alla pressione prima e dopo una sezione di esercizio. Usare questa soglia come quella che più si avvicina all’effettiva sensazione dolorosa percepita, è una strategia utile per ancorare queste misurazioni all’interno di una valenza a livello di letteratura riguardo i meccanismi fra dolore ed esercizio. Comunque, nei contesti clinici, i sintomi auto-riportati dal paziente (tipicamente quantificati attraverso una intensità auto-valutata) sono da considerarsi i più importanti indicatori di un problema legato al dolore. Sebbene soglia dolorosa ed intensità percepita (e quindi auto-valutata) siano spesso correlate, sono funzionalmente da distinguere. Questa distinzione fa crescere la domanda se sia corretto valutare l’una piuttosto che l’altra come miglior strumento per capire l’EIH e se questa scelta influenzi sia i meccanismi sottostanti all’esercizio che la risposta osservata. Studi emergenti sembrerebbero mostrare promettenti risultati nel quantificare le variazioni dell’EIH rispetto all’esercizio attraverso l’autovalutazione del dolore da parte del paziente. Sono indicate comunque ulteriori ricerche future riguardo una comparazione diretta fra questi due tipi di approcci.
Riassunto e conclusioni
In soggetti sani, asintomatici, una singola sezione di esercizio aerobico o di resistenza tendenzialmente porta all’EIH, ovvero una generalizzata diminuzione della sensazione dolorosa durante l’esercizio stesso e per un periodo di tempo a seguire. L’EIH è invece più variabile nei soggetti con dolore cronico e può essere diminuito in alcuni individui, con anche una sensazione dolorosa che rimane immutata o addirittura che aumenta in risposta all’esercizio.
I meccanismi fisiologici che sottostanno all’EIH rimangono ancora non chiari, ma in generale le interazioni fra il sistema oppioide e cannabinoide e fra il sistema oppioide e serotoninergico sembrano essere importanti nel determinare l’EIH. I fattori psicosociali quali paura, catastrofizzazione e credenze riguardo la percezione di danno legata all’esercizio possono avere influenze sull’EIH sebbene le evidenze rimangano confinate ai soli soggetti sani asintomatici. Ulteriori lavori sono consigliati per stabilire perché alcuni individui con dolore cronico (ed altri no) hanno un alterato EIH e le implicazioni che questo può comportare nella pratica clinica. Questi studi potrebbero esplorare le differenze dell’EIH fra sottogruppi con lo stesso dolore cronico ma con l’uso di differenti strategie quali l’uso di interventi combinati (es. esercizio ed uso di analgesici ad azione centrale).
Sebbene le strategie cognitivo-comportamentali (es. l’educazione alle neuroscienze del dolore) che mirano alla diminuzione della percezione di pericolo data dall’esercizio, possano migliorare l’aderenza al trattamento nei soggetti con dolore cronico, il loro effetto sull’EIH rimane ampiamente sconosciuto e quindi da approfondire in futuro.
Infine, molte delle ricerche esistenti riguardo l’EIH hanno utilizzato dosi di esercizio che non riflettono le raccomandazioni delle linee guida e si focalizzano sugli effetti dell’esercizio basandosi su misurazioni in laboratorio (es. soglia di dolore pressoria). Le ricerche future dovrebbero considerare i meccanismi fra EIH e misurazioni pronocicettive e antinocicettive, stabilire fattori chiave che influenzano la affidabilità test-retest, usare protocolli di esercizi più clinicamente verosimili, determinare meglio la relazione fra cambiamenti indotti dall’esercizio nella sensibilità dolorosa e nelle misurazioni dell’intensità dolorosa auto valutata, poiché quest’ultima potrebbe essere più rilevante nei pazienti con dolore cronico.
A cura di Paolo Duminuco
Fisioterapista OMPT
Fondatore HealtHub