Programmi di esercizi a lungo termine riducono il rischio di caduta negli anziani

<<Dovrebbe fare un po’ di esercizio, vedrà che starà meglio!>>

Quante volte noi fisioterapisti abbiamo ripetuto questa frase ai nostri pazienti più anziani?

Che l’esercizio sia un toccasana ormai è risaputo e numerosissime sono le evidenze in letteratura che promuovono il movimento sia come strumento di prevenzione che di trattamento per la gestione di disfunzioni di varia natura.

Anche in assenza di patologie conclamate l’esercizio apporta benefici ad una molteplicità di sistemi, tra cui quello muscolo-scheletrico1,2 e cardiovascolare1,3,4 e di funzioni, prime tra tutte quelle cognitive 5,6.

FIGURA 1

Tra gli effetti più dimostrati è da annoverare, senza alcun dubbio, l’influenza sul rischio di caduta nei soggetti adulti7-9.

Nonostante recenti lavori abbiano analizzato il topic in questione, la letteratura scientifica a riguardo presenta alcuni gap da colmare:

  • Le evidenze non risultano esplicative in merito l’esistenza di un’associazione tra l’esercizio fisico a lungo termine (≥1 anno) e la possibilità di diventare soggetti a rischio caduta.
  • Non è chiaro se l’esercizio fisico possa ridurre la mortalità e/o gli episodi di ospedalizzazione.
  • Non vi sono indicazioni certe su quale sia la posologia ideale dell’esercizio (tipologia, frequenza, durata, intensità) per ridurre il rischio di eventi avversi.

 

Questa revisione sistematica con metanalisi intende dare risposta a tali domande,

identificando e valutando la forza dell’associazione tra ESERCIZIO FISICO A LUNGO TERMINE e le seguenti variabili binarie:

  • Mortalità
  • Ospedalizzazione
  • Rischio di caduta:
  • Rischio di cadute multiple
  • Rischio di caduta associata traumi di varia natura (trauma cranico, ferite)
  • Rischio di cadute con frattura

 

 

MATERIALI E METODI

Per rispondere a tale quesito di studio gli autori hanno condotto una ricerca bibliografica, aggiornata a Marzo 2018, sui seguenti database: PubMed, Cochrane Central Register of Controlled Trials, SportDiscus, PsychInfo e Ageline.

 

 

 

Quali studi sono stati inclusi nella revisione sistematica?

Gli studi sono stati selezionati in accordo ai seguenti CRITERI DI INCLUSIONE:

  • Studi controllati randomizzati (RCT) in cui il programma di esercizi duri quanto meno 1 anno e in cui venga confrontata l’efficacia di almeno 1 esercizio rispetto ad un controllo che può essere i) nessun intervento, ii) placebo o iii) controllo attivo.
  • Studi che valutino l’efficacia di più interventi a patto che l’unica differenza tra gruppo sperimentale e gruppo di controllo sia proprio l’esercizio fisico.
  • Sono eleggibili studi che indaghino programmi di esercizi home-based o esercizi di gruppo, anche senza supervisione, solo nel caso in cui i pazienti ricevano un programma personalizzato.
  • L’età dei partecipanti deve essere ≥ di 60 anni.

 

Sono state stabilite 6 MISURE DI OUTCOME dicotomiche:

  1. Mortalità
  2. Ospedalizzazione [ossia, n° di soggetti ricoverati in ospedale per un intervallo di tempo ≥ 24 ore].
  3. Rischio di caduta [n° soggetti che siano caduti almeno una volta].
  4. Rischio di cadute multiple [n° soggetti che siano caduti almeno 2 volte].
  5. Rischio di cadute multiple con trauma annesso [ossia che siano stati ospedalizzati o abbiano riportato un trauma cranico o una ferita].
  6. Rischio di caduta con frattura.

 

La QUALITA’ METODOLOGICA degli studi inclusi è stata valutata mediante il Risk of Bias tool, proposto dalla Cochrane Collaboration10.

Risk of bias Tool

Tale strumento indaga i 7 domini sottoindicati quantificando per ciascuno di essi il rischio di bias mediante l’assegnazione di uno dei seguenti giudizi: alto rischio, basso rischio, rischio non chiaro (High risk, Low Risk, Unclear risk).

  1. Selection bias: randomizzazione
  2. Selection bias: oscuramento dell’allocamento
  3. Perfomance bias: cecità dei pazienti e dei terapisti
  4. Detection bias: cecità della valutazione dell’outcome
  5. Attrition bias: completezza dei dati riportati per ciascun outcome
  6. Reporting Bias: completezza degli outcome riportati rispetto a quelli previsti dal protocollo (selective reporting)
  7. Other bias: qualsiasi altra fonte di bias non compresa nelle precedenti.

 

 

 

 

Come sono stati analizzati i dati?

I dati inerenti alla mortalità, l’ospedalizzazione, le cadute e le fratture sono stati calcolati come Rischio Relativo, misura di efficacia relativa che esprime il rischio dell’evento nel gruppo dei trattati rispetto ai controlli.

L’eterogeneità tra gli studi è stata valutata mediante la I2 [un valore > di 50% esprime un’eterogeneità consistente].

Per valutare potenziali bias tra gli studi sono stati utilizzati il test di Egger (p<0.10 è indice di una sostanziale asimmetria) e i funnel plots.

Gli RCT con una % di drop out >40% o con una compliance < del 30% sono stati inseriti nell’analisi di sensibilità11.

Analisi di sensibilità

Condurre una RS significa prendere una serie di decisioni, alcune delle quali sono chiare ed inesorabili, altre, invece, saranno necessariamente arbitrarie.

Questo può succedere nel caso in cui i criteri di inclusione prevedano la presa in considerazione di un valore numerico la cui scelta non può che essere arbitraria: per definire il concetto di ‘anziano’, ad esempio, si possono utilizzare vari cut-off: 60, 65, 70 o 75 anni, o qualsiasi valore intermedio. 

 

Al fine di dimostrare che i risultati della revisione sistematica non dipendono da tali ipotesi discutibili e/o non pienamente supportate, occorre ricorrere alla così detta ANALISI di SENSIBILITA’ ossia una ‘ripetizione’ dell’analisi primaria o della metanalisi, che tiene in considerazione, gestendole, le decisioni arbitrarie o poco chiare. In altre parole, un’analisi di sensibilità pone la domanda: “I risultati ottenuti sono solidi a prescindere dalle scelte effettuate nel processo di conduzione della revisione?”.

 

Nei casi in cui più di 10 studi riportassero i dati di una determinata misura di outcome, è stata condotta una meta-regressione [analisi statistica utilizzata per testare l’effetto di uno o più moderatori continui (predittori) sull’effect size medio (variabile dipendente)]. Questa procedura ha permesso di comprendere, per ogni endpoint considerato, quali caratteristiche dell’esercizio fossero maggiormente associate all’effect size.

A questo proposito sono state valutate:

  • Frequenza [n° di sessioni settimanali]
  • Frequenza effettiva [frequenza settimanale x compliance]
  • Volume [intensità x durata della sessione]
  • Intensità [vigorosa vs moderata]
  • Tipologia di esercizio [aerobico, rinforzo, altra tipologia vs training multimodale]

 

RISULTATI

Descrizione del campione e degli studi inclusi

Sono stati inclusi 46 studi, per un totale 22709 soggetti [66.3% donne] con un’età media di 73.1 anni.

La durata media degli interventi è di 17 mesi: 16 trial sono stati condotti su pazienti con patologie specifiche [disabilità mentale lieve, demenza, patologie cardiache]; 35 presentavano un disegno a braccia parallele e in 11 RCT è stata effettuata una randomizzazione a cluster [ossia, non vengono randomizzati i singoli soggetti a gruppi].

La maggior parte degli studi è stata condotta su soggetti che vivono nel proprio domicilio [non in regime degenziale].

 

Descrizione della posologia dell’esercizio

Ai partecipanti sono state per lo più somministrate le seguenti tipologie di esercizio; 1) esercizio combinato [aerobico + balance training]; 2) esercizio aerobico; 3) esercizio di rinforzo, con una frequenza di 3 volte a settimana, una durata media di 50 minuti ad intensità moderata.

I trattamenti maggiormente proposti sono i) esercizi di gruppo con supervisione e ii) home-based training + esercizi di gruppo.

E’ stata registrata una compliance complessiva media del 65%.

 

Rischio di Bias

Per quanto riguarda la valutazione della qualità metodologica degli studi inclusi, verranno riportati a seguire i risultati più rilevanti. Come potevamo aspettarci, e come solitamente accade nei trial di trattamento, è stato rilevato un alto rischio di bias sulla cecità dei partecipanti.

Altro dato da non sottovalutare, dal momento che può andare ad inficiare la ‘qualità’ della randomizzazione, è il dominio che valuta l’oscuramento dell’allocamento, il quale è risultato per lo più ‘Non chiaro’. Purtroppo, l’incompletezza dei dati [15 studi] e la mancata cecità del valutatore [11 studi] rappresentano un problema più diffuso di quanto si sperasse.

 

RISULTATI

Che cosa è emerso da questo studio?

Per poter rispondere a questa domanda, andiamo ad analizzare ciascuna misura di outcome presa in considerazione.

 

  1. MORTALITA

Sono stati registrati 19670 decessi dall’analisi dei 39 studi che analizzano tale dato.

Come si evince dal forest plot, seppur l’eterogeneità tra gli studi sia dello 0% ed il test di Egger non registri asimmetria (p=0.76), il RR è di 0.96 (CI 95%: 0.85-1.0; p=0-68): pertanto, è possibile affermare che l’esercizio sembra non aver alcun effetto sulla frequenza dei decessi.

Contrariamente, l’analisi di sensibilità riporta risultati interessanti per quanto riguarda i soggetti con patologia, per i quali sembra essere confermata l’efficacia dell’esercizio sulla riduzione del rischio di mortalità (10RCTs; RR,0.70; 95%CI,0.49-1.00; P = .05; I2 = 15%).

La meta-regressione ha individuato una frequenza di 3 volte a settimana come quella più influente su tale misura di outcome.

FIGURA 2

 

  1. OSPEDALIZZAZIONE

13 studi riportano dati sulla frequenza di ospedalizzazione. Complessivamente sono stati ricoverati il 44% dei soggetti nel gruppo sperimentale contro il 44.6% dei soggetti nel gruppo di controllo, dato da cui si evince che l’esercizio non ha effetto sul tale misura di outcome [RR 0.94 (CI 95%: 0.80-1.12; I2=59.2%]

FIGURA 3

 

  1. RISCHIO DI CADUTA E DI CADUTE MULTIPLE

28 studi hanno valutato la frequenza di caduta o di cadute multiple verificatesi durante il periodo di trattamento.

Solo una parte degli studi (21/28) ha riportato il n° dei soggetti [5220]. Come evidenziato dal forest plot, il RR è di 0.88 con un IC95% di 0.79-0.98 e una p=0.02: questo corrisponde ad una riduzione del rischio di caduta del 12%, seppur sia stata osservata un valore di eterogeneità non irrilevante [I2 = 50.7%].

La meta-regressione rileva come unica associazione statisticamente significativa quella tra una frequenza > di 3 volte a settimana e l’aumentata probabilità di diventare un soggetto a rischio caduta.

Per quanto riguarda, invece, il rischio di cadute multiple, indagato in 13 studi, non è possibile affermare che l’esercizio ne riduca la frequenza RR= 0.86 [0.68-1.08; p=0.20].

FIGURA 4 E FIGURA 5

 

  1. RISCHIO DI CADUTE ASSOCIATE A TRAUMI

14 RCT hanno riportato informazioni inerenti cadute associate a traumi [4972 soggetti].

L’analisi primaria, fornita dall’aggregazione dei dati di 13 RCT, conta un 16.9% dei soggetti collocati nel gruppo sperimentale contro un 20.6% nel gruppo di controllo.

Come si evince dal forest plot, seppur l’eterogeneità sia del 40%, l’esercizio riduce il rischio di cadute con traumi del 26% [RR= 0.74 (0.62-0.88; p = .001).

FIGURA 6

 

  1. FRATTURE

23 studi indagano la frequenza dei partecipanti che cadendo hanno riportato fratture

[per un totale di 9701 soggetti].

L’analisi primaria, che ha incluso 8410 soggetti di cui il 5.3% del gruppo sperimentale e il 6.3% del gruppo di controllo, non ha evidenziato nessun effetto significativo a favore dell’esercizio del ridurre il rischio di fratture.

FIGURA 7

 

CHE COSA POSSIAMO DEDURRE DAI SEGUENTI RISULTATI?

I risultati della revisione sistematica, seppur in parte inficiati dal fenomeno del pubblication bias, sono in linea con la letteratura ed evidenziano quanto segue: l’esercizio a lungo termine influisce in modo modesto ma significativo sul rischio di caduta e di cadute associate a traumi. A questi benefici si affianca, però, una mancato effetto sul rischio di mortalità e di ospedalizzazione.

FIGURA 8

 

Analizziamo adesso nel dettaglio il significato clinico dei vari risultati

L’esercizio non sembra avere alcun effetto sulla morte o sull’ospedalizzazione. Questo potrebbe essere dovuto alla natura stessa di tali endpoint hard, probabilmente dipendenti da una varietà di fattori che potrebbero ‘mascherare’ l’efficacia dell’esercizio.

D’altro canto, l’esercizio tende a ridurre il rischio di mortalità nella popolazione con disfunzioni di varia natura (deficit cognitivo o disturbi cardiaci), risultato che sottolinea e conferma l’importante ruolo dell’esercizio fisico come componente del trattamento riabilitativo di patologie in soggetti anziani.

La meta-regressione ha messo in luce la POSOLOGIA IDEALE per ottenere la massima efficacia: frequenza di 2 massimo 3 volte a settimana, intensità vigorosa.

Una frequenza di > 3 sembra essere associata ad un aumentato rischio di caduta, potendo esporre maggiormente il soggetto al verificarsi di eventi avversi.

Occorre però sottolineare che l’associazione tra la frequenza dell’esercizio e il rischio di caduta dipende strettamente dalla vulnerabilità del soggetto stesso12. Di fatti, l’effetto dose risposta, che supporta il concetto “more exercise is always better” non è applicabile in tutta la popolazione anziana, soprattutto nei soggetti più vulnerabili. La ragione potrebbe risiedere nel concetto di overtraining: troppo esercizio può portare ad una riduzione dell’immunità e del metabolismo energetico, come suggerito dai modelli animali13, ed è associato ad una diminuzione dell’introito calorico, al peggioramento della qualità del sonno e può indurre pattern psicologici negativi14.

 

Come è inevitabile che sia, questa revisione sistematica, seppur condotta con rigore, presenta una serie di LIMITI.

  1. Non tutti gli studi hanno riportato in modo chiaro l’aderenza, pertanto non è stato possibili stabilire l’esatto volume medio.
  2. Per valutare l’effetto dell’esercizio a lungo termine è stato scelto in modo arbitrario un intervallo temporale di 1 anno: questo comporta l’esclusione di molti lavori con follow-up più brevi.
  3. Le numerose analisi effettuate potrebbero aver aumentato la probabilità di effettuare errori di tipo1 [falsi positivi].
  4. La popolazione è estremamente eterogenea [ i passa da pazienti con Alzheimer a soggetti sani]; questo problema, però, è stato in parte attenuato dall’esecuzione di analisi per sottogruppi.

 

 

 

 

 

Quindi, in conclusione,

 quale è la combinazione di ingredienti ideale per creare un programma di esercizi in

grado di prevenire le cadute?

 

  • Attività moderata
  • Frequenza di 2/3 volte a settimana
  • Esercizi Multicomponente + balance training
  • Durata della sessione 30-60minuti

 

 

 

 

Buon allenamento!

 

A cura di Carola Cosentino
Fisioterapista
Collaboratore HealtHub

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